lunedì 18 agosto 2014

Narrare in prima persona: siamo pazzi?


Come anticipato la settimana scorsa, oggi parlerò della narrazione in prima persona.

Premetto che non ne sono un'amante, però se ben gestita possiede numerosi vantaggi, che vanno saputi cogliere, anche se farlo è spesso una sfida.
Una storia narrata in prima persona viene raccontata da un personaggio che mostra quello che gli è accaduto. Questo personaggio di solito è il protagonista, tuttavia non è indispensabile che sia così (ne "Il nome della rosa", ad esempio, il protagonista è Guglielmo, ma la storia viene raccontata dal suo aiutante Adso).


Con questa tecnica abbiamo la possibilità di mostrare a 360° il nostro personaggio, perché tutti i fatti verranno presentati secondo il suo schema logico e saranno filtrati dalla sua percezione. Si tratta di uno strumento molto potente per creare empatia con il narratore, ma spesso rappresenta anche un limite per lo scrittore, in quanto mantenere un'unica posizione (e un unico filtro) sulla trama risulterà sempre difficile. I limiti del narratore, poi (di vocabolario e intelligenza) diventeranno a forza anche quelli dello scrittore, che dovrà lottare contro la sua naturale tendenza a voler raccontare tutto di tutti.

Mi è stato fatto notare come l'utilizzo del narratore in prima persona anticipi il finale, in quanto risulta logico che il narratore (quindi, spesso, il protagonista) non muoia al termine del libro. Non sono d'accordo, almeno non sempre, in quanto la morte è solo uno degli eventi possibili. Visto che le possibilità di conclusione non si sostanziano in vita o morte del protagonista -per fortuna!- credo che questa piccola anticipazione non possa danneggiare troppo l'intero racconto. Sottolineo invece che, nel caso in cui il narratore perda la vita al termine degli eventi narrati, si è caduti in errore (c.d. Black box). Come farebbe, del resto, un narratore morto a raccontare della sua morte? I morti, si sa, hanno non poche difficoltà sia a parlare che a scrivere, quindi, a meno che la storia non giustifichi questo fatto, qualcosa sarà da modificare.

Tornando invece agli aspetti tecnici. L'uso della prima persona, di solito, viene scelto seguendo determinati schemi, che sono:

- Il rivolgersi a un ascoltatore generico (il pubblico). Questo accade, ad esempio, nel romanzo
"La versione di Barney", dove il narratore/protagonista si rivelerà anche una fonte inattendibile, portando così il lettore non solo a seguire la sua versione, ma anche a cercare di immaginare l'effettivo svolgersi della vicenda e dando alla luce, in un certo senso, due storie: la realtà imtuita e la realtà raccontata da Barney. La prima persona rivolta a un pubblico generico viene inoltre utilizzata sempre da B. Yoshimoto dove, volendo l'autrice trattare argomenti psicologici e stati d'animo, la preferisce per creare subito empatia tra il lettore e il protagonista.

- Il rivolgersi a un ascoltatore specifico. Avviene quando lo svolgesi delle vicende viene narrato per un interlocutore particolare, come il caso di un racconto a uno psicanalista, o alla polizia sul luogo del crimine, etc. Avviene anche nei romanzi epistolari, dove l'interlocutore è, appunto, il destinatario della missiva. In "Acqua in bocca", (Camilleri e Lucarelli) il commissario Montalbano e l'ispettore Grazia Negro indagano insieme, ma a distanza, tenendosi in contatto tramite lettere, fax e messaggi. In questo piccolo libricino abbiamo un bell'esempio di cambio rapido del narratore, da un punto di vista all'altro, in quanto i due protagonisti si rimpallano la narrazione da capitolo a capitolo, mantenendo sempre la prima persona, il che rende la storia più ariosa e varia. Una struttura di questo genere, inoltre, permette allo scrittore di rendere meno claustrofobici per la sua scrittura i limiti del personaggio narrante, appunto perché questo viene modificato.

- Il rivolgersi a se stesso. Tutte le volte che il narratore parla per sé, spesso come memoria dei fatti. Accade in tutte le narrazioni che si presentano nella forma del diario e anche in alcuni romanzi epistolari, dove il destinatario della missiva rimane l'autore medesimo. Bell'esempio di questa forma, a mio parere, "Diario di una giovinetta", Anonimo viennese.

In definitiva, anche se la prima persona non rimane quella a me più congeniale, devo dire che con tutte le sue implicazioni la trovo un'ottima palestra di scrittura. 
Quasi, quasi comincio a esercitarmi con un racconto.
Voi cosa ne pensate? L'avete mai provata?

Venendo invece alle comunicazioni di rito, vi segnalo la nuova rubrica del blog Lande Incantate, "Manuale di sopravvivenza alla giungla editoriale", che apre con un'intervista (immeritata, va detto) a me. 

10 commenti:

  1. Ah, le gioie e i dolori della narrazione in prima persona! Da scrittrice (e lettrice) di apocrifi sherlockiani ne ho un'idea piuttosto precisa.
    Da autrice mi piace il lavoro sul personaggio, più profondo del solito, perché bisogna acquisirne al 100% il modo di ragione, il lessico, la mentalità. Nella pratica a volte impazzisco. Ho scritto un racconto dal punto di vista di Sherlock Holmes ed è stato un dramma avere a che fare "dall'interno" con una persona più intelligente di me, che pensa a più cose insieme senza perdere il filo... Mi venivano delle frasi terribilmente lunghe, periodi ipotetici in cui io mi perdevo, ma Holmes no... Di quel racconto sono piuttosto soddisfatta, ma è un fatto che non ne abbia tentato un secondo scritto in quel modo!
    PS: geniale Acqua in bocca!

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    1. Trovo anch'io la prima persona una sfida molto interessante per l'autore, ma servono veramente dedizione, occhio critico e poca paura dei tagli.

      PS: Acqua in bocca mi ha accompagnato durante una piacevolissima settimana di mare.

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  2. Il romanzo a cui sto lavorando è tutto in prima persona. Devo dire che, a parte il racconto Griffon, non avevo mai scritto da questo punto di vista. Le possibilità di sbagliare sono molteplici, però prima di dare un giudizio dovrò scrivere l'ultima parola. Come dico da ormai 4 anni: o è la cosa migliore che abbia mai elaborato, o la pessima per eccellenza! >XD Presuppone una buona dose di incoscienza e, da lettrice accanita della Hobb, della Carey e di Rothfuss, mi ci sono adagiata con grande naturalezza. Forse troppa, per questo temo il risultato ;P

    Vedremo tra qualche tempo :3 huuhuhhu

    Comunque vada, mi sto divertendo molto nei panni del narratore... che non è propriamente un tipo facile da gestire =^^= direi che la diceria secondo cui scrivere è follia accettata, con la "prima persona" trova la sua conferma più alta: per il tempo lungo della stesura, infatti, si diventa qualcun altro.

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  3. Del resto gli scrittori sono tutti un po' folli amanti delle sfide complicate ;)

    Quanto pensi di impiegare ancora per la stesura?

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  4. Fino a oggi ho usato la prima persona solo in alcuni racconti e nei capitoli dal punto di vista del protagonista all'interno di romanzi in terza persona multipla. Questo perché mi piace l'effetto vicinanza, ma lo trovo pesante se protratto per una storia lunga. Nel prossimo romanzo invece userò la prima persona con due protagonisti, e credo sarà un esperienza interessante.

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  5. Lo sarà di sicuro! Sul resto concordo, anche a me piace a piccole dosi. La trovo però indicata per molti racconti.

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  6. Sia come autrice sia come lettrice, considero la narrazione in prima persona con focalizzazione interna una sfida stimolante. Ho adottato questa modalità narrativa in molti dei racconti che ho pubblicato, e anche (in maniera differente) nel secondo e nel terzo romanzo della saga principale. Mentre per "Wormhole" (Lettere Animate, 2014) ho scelto la "classica" narrazione in terza, in "Chimera" ("Wormhole II - Cronache del Nuovo Impero") ho affidato tutto a due voci alternate (una delle quali in parte inattendibile), che a volte raccontano gli stessi fatti da due prospettive diverse, come nell'esempio citato dall'articolo ("(...) i due protagonisti si rimpallano la narrazione da capitolo a capitolo, mantenendo sempre la prima persona, il che rende la storia più ariosa e varia. Una struttura di questo genere, inoltre, permette allo scrittore di rendere meno claustrofobici per la sua scrittura i limiti del personaggio narrante"). In "Nostalgia del futuro" ho invece ristretto ulteriormente il focus, dando voce a un solo personaggio e strutturando il testo come se fosse un monologo teatrale (al limite dell'aristotelica "unità di luogo, tempo e azione").

    Serena M. Barbacetto

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  7. Ciao Serena,
    grazie per essere passata e aver commentato.
    In bocca al lupo per le tue pubblicazioni e complimenti, ho visto che hai preso parte anche a diverse antologie ed è bello vedere un'autrice così prolifica e impegnata nel campo fantascientifico. Avrei una curiosità; oltre al blog della saga gestisci anche altri spazi web sulla scrittura o la fantascienza?

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  8. Potrei fare almeno un esempio di romanzo (ma sicuramente ne esistono infiniti altri) in cui il fatto che il narratore parli in prima persona non pregiudica affatto la conoscenza del finale: il narratore/protagonista, infatti, moriva in quel caso specifico a metà del romanzo in questione, in maniera peraltro assolutamente inaspettata...
    E che cosa dire poi dello splendido thriller psicologico "Sotto la pelle" di Nicci French, in cui a raccontare la storia sono, a sorpresa, proprio le voci di varie donne, vittime di abusi e di violenze, morte e defunte ormai da parecchio tempo? Ma, malgrado la narrazione in prima persona, il lettore non può certamente sapere in anticipo chi di loro si salverà, e chi invece soccomberà alla lama dell'agghiacciante psicopatico...
    PS: ti lasciato un premio, Jo... trovi il post qui: http://laumesjourney.blogspot.it/2014/08/the-very-inspiring-blogger-award.html ;D

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  9. Sono in generale sempre stato contrario all'uso della prima persona; in particolare per la necessità di poter controllare quanto accade nella narrazione (cosa che in prima persona difficilmente si riesce a fare).
    Nonostante questo il mio ultimo romanzo pubblicato fa uso anche della prima persona: i fatti vengono visti attraverso gli occhi della protagonista in alcuni capitoli, e in terza persona in altri.
    Ho scelto questa soluzione perché mi consentiva di sottolineare come quel che conosce/capisce/intende la protagonista sia molto diverso dalla realtà oggettiva raccontata nei capitoli in terza persona.
    E' stato un esperimento che mi pare abbastanza ben riuscito, tant'è che anche il romanzo che ho in lavorazione fa uso della prima persona (sia pure in modo un po' particolare!).

    (Ho fatto l'intervento come 'anonimo' perché non mi ritrovo un alcuna delle scelte presentate nella tendina)

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